Anche quest’anno, in occasione del 17 maggio, i movimenti queer e transfemministi si mobilitano in diverse città per l’IDAHOBIT, Giornata Internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. La data scelta richiama la storica depennazione dell’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, avvenuta il 17 maggio 1990.
Lungi dall’essere stata frutto di una mera svolta progressista del discorso medico-scientifico, la depatologizzazione degli orientamenti non eterosessuali è stata l’esito di dure e coraggiose pressioni politiche esercitate dai movimenti di liberazione sessuale. Eppure, a distanza di qualche decina d’anni, sembra che davvero poco sia cambiato. Se da un lato le persone LGBTQI+ sono passate dalla reclusione nelle carceri e negli istituti di cura all’occupazione della sfera pubblica insieme a centinaia di migliaia di persone nel mese dell’Orgoglio, dall’altro dobbiamo riconoscere l’attualità della repressione subita dalle soggettività LGBTQI+ a livello internazionale e, in particolare, nel nostro paese, dove il tasso di omolesbobitransfobia supera notevolmente la media europea.
In un contesto in cui lo stigma e i pregiudizi omolesbobitransfobici hanno una forte dimensione sociale e culturale, l’insediamento dei post-fascisti al governo ha certamente portato l’oppressione eteropatriarcale a raggiungere l’apice della sua istituzionalizzazione. Con la complicità della Chiesa e dell’associazionismo anti-scelta, le destre al potere cercano di colpire il movimento LGBTQI+ con ogni mezzo. Senza dubbio, dello scenario in cui ci troviamo sono altrettanto responsabili i governi di centro-sinistra, per anni rimasti genuflessi al potere ecclesiastico, quando, nel frattempo, larga parte d’Europa si impegnava a ridefinire il diritto della famiglia e l’educazione scolastica in una direzione più laica e secolare.
Anche se oggi, alla luce dell’analisi foucaultiana e post-anarchica, sarebbe obsoleto e riduttivo identificare nel “palazzo” il fulcro dell’oppressione sessuale e di genere, non possiamo ignorare il ruolo che i partiti di governo hanno nel legittimare la violenza che colpisce ogni giorno chi non è eterosessuale e/o cisgenere. La legittimazione della violenza è sostenuta dalle disoneste campagne di (dis)informazione contro la presunta “ideologia gender” che vedrebbe gli attivisti e le attiviste queer impegnate in un complotto finalizzato a “far diventare gay/trans i bambini” e a confondere la loro identità: una menzogna intenzionalmente montata dai conservatori per alimentare una omolesbobitransfobia già radicata nella società.
Le crociate antigender nelle scuole rappresentano un grande fattore di rischio perché, oltre ad aumentare il disorientamento e la diffidenza di genitori e cittadini di per sé poco informati, diventano alibi per scoraggiare ogni intervento educativo volto a contrastare le discriminazioni fondate sull’identità di genere e l’orientamento sessuale. Lo spauracchio del gender è infatti la prima arma usata dall’associazionismo pro vita e famiglia per sabotare l’introduzione di percorsi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole che, se attuati a partire dai gradi inferiori, potrebbero rappresentare una efficace soluzione di contrasto preventivo alle violenze machiste, sessiste e omolesbobitransfobiche. Agire a monte attraverso una adeguata pedagogia sessuale e di genere servirebbe altresì a scoraggiare inutili o controproducenti soluzioni penali e carcerocentriche.
L’accanimento delle destre di governo contro il movimento LGBTQI+ è espressivo di una vera e propria violenza di Stato di fronte alla quale chiunque si reputi antifascista e antiautoritario non può tacere e rimanere indifferente. Se da una parte si cerca di privare la scuola di spazi per una educazione non eteropatriarcale, dall’altra è in corso una crociata contro le famiglie omogenitoriali a danno di chiunque non si conformi al modello della Sacra famiglia tradizionale. Ma è soprattutto la condizione delle persone trans* a peggiorare con il governo Meloni, impegnato a ostacolare i percorsi di affermazione di genere, già resi ostici dalle lunghe attese e dall’insufficiente numero di centri competenti.
Rendere visibile e denunciare la violenza istituzionale indirizzata alle persone LGBTQI+ italiane, in un contesto in cui le libertà individuali sono nel mirino delle destre a livello globale, è doveroso. Tuttavia, è altrettanto importante evitare di riprodurre una narrazione pietistica che descrive le soggettività oppresse come incapaci di reagire alle ingiustizie subite. L’assenza di una legislazione sensibile alle istanze queer e transfemministe conferisce alle soggettività non conformi una ragione in più per auto-organizzarsi, fare rete, cospirare e mobilitarsi verso un orizzonte di autentica liberazione. Mi piace pensare che gli/le attivist* queer del presente siano eredi di una rivoluzione sessuale avviata negli anni Settanta e non ancora portata a termine. Le persone LGBTQI+ che acquisiscono consapevolezza politica, prendendo coscienza della propria condizione e di come questa sia in potenza di cambiare, possono scrivere la storia. Per questo il 17 maggio, nel mese dell’Orgoglio e ogni giorno usciamo fuori!
“Usciamo fuori dalla clandestinità, dalla paura, dal mi-faccio-i-fatti-miei. Se saremo uniti, trasformeremo la nostra vita. Rivoluzione è GIOIA” (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, 1971).
Cristian Ruggieri